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lunedì 20 settembre 2010

Green Marketing: Non solo parole


Questo post non era previsto, ma una piccola discussione con esperti del settore, Riccardo ed il gruppo Lp Associati mi invoglia ad approfondire l'argomento Green Marketing.

  • Perchè se ne parla così poco?
  • Quali vantaggi hanno le imprese?
  • Quale tipologia di imprenditori è più predisposta all'ascolto?

L'ecosostenibilità delle imprese è un fattore di ritorno economico ma non solo. Le aziende che adottano un modello "green" lo fanno anche per un ritorno di immagine.

Stefano Principato segnala alcuni approfondimenti sul tema ed anche una presentazione slides.

La domanda che lascio apertà è:

Quali tipologie di aziende si impegna più di altre nell'approccio ecosostenibile?

Una ricerca dell'Università Bocconi formula alcuni dati interessanti:

il 44% dei manager ritiene che i prodotti green consentano di strappare un prezzo più alto rispetto ai prodotti tradizionali, solo il 13% dei consumatori la pensa allo stesso modo, pur riconoscendo la qualità dei prodotti green (il 46% pensa che sia superiore a quella dei prodotti tradizionali e meno del 9% la giudica inferiore).

Quello che naturalmente insospettisce è l'onestà professionale con la quale un'impresa si impreziosisce di un'immagine ecologica. Ciò non toglie il fatto che rimanga comunque apprezzabile il tentativo di diminurie l'impronta ecologica.

La discussione è stata avviata sul mio profilo Facebook ma può benissimo continuare in altre forme e luoghi. Di seguito i pareri di Riccardo e LpAssociati


Lp Associati La nostra esperienza di consulenti ci sta facendo ricredere sull'opinione diffusa secondo cui la svolta green sia solo un fatto di immagine.
La realtà è che le imprese hanno capito che il consumatore moderno richiede un approccio green reale....
Resta, però, un gap informativo: di fatto c'è ancora molta paura


Riccardo Polesel Il green marketing è ancora un ambito di cui si parla tanto in Italia ma dove ancora non si fa molto. Prendo ad esempio il settore biologico: abbiamo il maggior numero di produttori "bio" in Europa e nei supermercati italiani si trovano 300 prodotti (in Francia, superano i 3.000). Perché manca coerenza e visione strategica, come in tanti altri ambiti del marketing. sui costi che questo comporta e i tempi necessari perchè questi possano essere assorbiti ...



**immagine presa dal sito greenactions

http://www.wikio.it

4 commenti:

LP Associati Group ha detto...

Per prima cosa grazie per averci citati nel tuo post!

Riprendendo alcuni tratti della discussione iniziata su Facebook,
a nostro avviso è difficile proporre una "ricetta" per l'impresa che voglia effettuare una svolta verso il green.

Crediamo serva prima di tutto coerenza, consapevolezza e visione strategica.
Questo significa che anche la "conversione" al green deve essere pianificata e monitorata, strategicamente ed economicamente, come le altre strategie di business. Insomma, non deve trattarsi di qualche azione "spot" fine a se stessa.
Questo passaggio deve essere condiviso e diffuso all'interno dell'organizzazione, e al tempo stesso comunicato correttamente al mercato.
In questo modo il consumatore evoluto gradualmente comprende il reale plus di valore offerto, da cui può derivare, attraverso strade diverse (premium price, maggiore penetrazione, e così via) la sostenibilità economica del progetto.

Crediamo sia utile una riflessione in più sul discorso premium price:
da un lato i maggiori costi sostenuti dall'impresa spesso impongono anche un aumento di prezzo, che può essere giustificato dal plus di valore del prodotto green.

Al tempo stesso, crediamo che nel nostro Paese vi sia ancora una cultura incentrata nell'identificazione del prodotto green (o ecologico, o bio, ...) come un prodotto di lusso destinato ad una élite.

Di fatto, il consumatore evoluto richiede un prodotto green, ma non necessariamente un prodotto green proposto come elitario. Semplicemente, dovrebbe essere un prodotto il cui valore superiore consenta un (equo) incremento nel prezzo.

Si tratta di sfumature, che riteniamo importanti per un passaggio culturale che nel nostro Paese tarda a concretizzarsi.

Guardando alle realtà straniere, infatti, si nota come le percentuali di consumatori disposti a pagare un premium price siano molto più elevate.
Citando un documento del Boston Consulting Group:
- Unione Europea: 81%
- USA: 82%;
- Canada: 76%;
- Giappone: 82%;
- Cina: 59%.

Sono percentuali molto diverse da quella riportata da quella dell'Università Bocconi, forse fin troppo distanti per essere basate sugli stessi dati. Non abbiamo un riferimento rispetto alla ricerca Bocconi: la ricerca BCG è riferita ad aumenti nel prezzo dal 5% in su.

LP Associati Group ha detto...

Per prima cosa grazie per averci citati nel tuo post!

Riprendendo alcuni tratti della discussione iniziata su Facebook,
a nostro avviso è difficile proporre una "ricetta" per l'impresa che voglia effettuare una svolta verso il green.

Crediamo serva prima di tutto coerenza, consapevolezza e visione strategica.
Questo significa che anche la "conversione" al green deve essere pianificata e monitorata, strategicamente ed economicamente, come le altre strategie di business. Insomma, non deve trattarsi di qualche azione "spot" fine a se stessa.
Questo passaggio deve essere condiviso e diffuso all'interno dell'organizzazione, e al tempo stesso comunicato correttamente al mercato.
In questo modo il consumatore evoluto gradualmente comprende il reale plus di valore offerto, da cui può derivare, attraverso strade diverse (premium price, maggiore penetrazione, e così via) la sostenibilità economica del progetto.

Crediamo sia utile una riflessione in più sul discorso premium price:
da un lato i maggiori costi sostenuti dall'impresa spesso impongono anche un aumento di prezzo, che può essere giustificato dal plus di valore del prodotto green.

Al tempo stesso, crediamo che nel nostro Paese vi sia ancora una cultura incentrata nell'identificazione del prodotto green (o ecologico, o bio, ...) come un prodotto di lusso destinato ad una élite.

Di fatto, il consumatore evoluto richiede un prodotto green, ma non necessariamente un prodotto green proposto come elitario. Semplicemente, dovrebbe essere un prodotto il cui valore superiore consenta un (equo) incremento nel prezzo.

Si tratta di sfumature, che riteniamo importanti per un passaggio culturale che nel nostro Paese tarda a concretizzarsi.

Guardando alle realtà straniere, infatti, si nota come le percentuali di consumatori disposti a pagare un premium price siano molto più elevate.
Citando un documento del Boston Consulting Group:
- Unione Europea: 81%
- USA: 82%;
- Canada: 76%;
- Giappone: 82%;
- Cina: 59%.

Sono percentuali molto diverse da quella riportata da quella dell'Università Bocconi, forse fin troppo distanti per essere basate sugli stessi dati. Non abbiamo un riferimento rispetto alla ricerca Bocconi: la ricerca BCG è riferita ad aumenti nel prezzo dal 5% in su.

LP Associati Group ha detto...

Per prima cosa grazie per averci citati nel tuo post!

Riprendendo alcuni tratti della discussione iniziata su Facebook,
a nostro avviso è difficile proporre una "ricetta" per l'impresa che voglia effettuare una svolta verso il green.

Crediamo serva prima di tutto coerenza, consapevolezza e visione strategica.
Questo significa che anche la "conversione" al green deve essere pianificata e monitorata, strategicamente ed economicamente, come le altre strategie di business. Insomma, non deve trattarsi di qualche azione "spot" fine a se stessa.
Questo passaggio deve essere condiviso e diffuso all'interno dell'organizzazione, e al tempo stesso comunicato correttamente al mercato.
In questo modo il consumatore evoluto gradualmente comprende il reale plus di valore offerto, da cui può derivare, attraverso strade diverse (premium price, maggiore penetrazione, e così via) la sostenibilità economica del progetto.

Lp Associati Group ha detto...

Crediamo sia utile una riflessione in più sul discorso premium price:
da un lato i maggiori costi sostenuti dall'impresa spesso impongono anche un aumento di prezzo, che può essere giustificato dal plus di valore del prodotto green.

Al tempo stesso, crediamo che nel nostro Paese vi sia ancora una cultura incentrata nell'identificazione del prodotto green (o ecologico, o bio, ...) come un prodotto di lusso destinato ad una élite.

Di fatto, il consumatore evoluto richiede un prodotto green, ma non necessariamente un prodotto green proposto come elitario. Semplicemente, dovrebbe essere un prodotto il cui valore superiore consenta un (equo) incremento nel prezzo.

Si tratta di sfumature, che riteniamo importanti per un passaggio culturale che nel nostro Paese tarda a concretizzarsi.

Guardando alle realtà straniere, infatti, si nota come le percentuali di consumatori disposti a pagare un premium price siano molto più elevate.
Citando un documento del Boston Consulting Group:
- Unione Europea: 81%
- USA: 82%;
- Canada: 76%;
- Giappone: 82%;
- Cina: 59%.

Sono percentuali molto diverse da quella riportata da quella dell'Università Bocconi, forse fin troppo distanti per essere basate sugli stessi dati. Non abbiamo un riferimento rispetto alla ricerca Bocconi: la ricerca BCG è riferita ad aumenti nel prezzo dal 5% in su.

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