Giovanni Biondi,“La Scuola Dopo le Nuove Tecnologie” (APOGEO 2007).
Mi sembrava molto significativo questo passaggio. Non è la scuola che deve cambiare, è il modo di rapportarsi alla scuola che deve allinearsi con i pocessi di cambiamento.
Si fa ancora troppa fatica a distinguere la scuola da qualcosa che va oltre l'edificio scolastico.
La scuola NON è l'edificio scolastico.
Da qui nasce quindi l'esigenza di utilizzare linguagggi diversi da quelli canonici. Se al di fuori delle mura scolastiche i processi si sono velocizzati, non si può far finta che non sia così.
La prima innovazione, forse, prima ancora che tecnologizzata, dovrebbe avvenire "svecchiando" il concetto della scuola.
Perchè è inevitabile che fnchè si avrà un concetto negativo dell'edificio scolastico e del significato intrinseco che la parola suscita, e quindi dell'ambiente in cui avviene il rapporto tra discenti e docenti, sarà difficile che i ragazzi percepiscano anch'essi la necessità di cambiare metodi di apprendimento.
Dico questo in seguito alla giusta supposizione, dopo alcune ricerche(Landri 2000),che il prof. Consoli fa nel suo libro "Le mode professionali", in cui mette in luce un aspetto non sempre scontato, in cui sono spesso gli allievi stessi se non anche i gneitori a disconoscere la necessità di un cambiamento. Sono restii alle innovazioni in ambito didattico.
I motivi possono essere il fatto che le innovazioni in ambito didattico hanno bisogno di non poco tempo per essere assimilate e passare la fase di rodaggio, ma anche il fatto per cui è più "economicamente" vantaggioso uitlizzare i vecchi strumenti didattici, già appresi collaudati e fatti propri con tutte le contraddizioni, anzichè utilizzare nuovi strumenti con il rischio di non riuscire a governarli.
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